Il nostro pensiero

La Sardegna e il mondo che vorremmo

Noi Rossomori, quelli rifondati 4 anni fa, siamo un partito giovane e vogliamo rimanere tali.

Questa non è una concessione al giovanilismo ingenuo, né all’idea della ‟rottamazione”, né al racconto delle ‟scatolette di tonno da aprire”, per accennare ad alcuni concetti che sembra anche banale richiamare in apertura di questa riflessione. Ma li richiamo perché pur nella loro banalità sostanziale, banali non sono stati nei loro esiti, posto che hanno fatto la fortuna politica di personaggi senza qualità alcuna.

Noi siamo un partito giovane perché ci siamo rifondati 4 anni fa, rinnovandoci profondamente, trasformandoci da struttura verticistica con a capo un leader fondatore che gestiva il partito come una sua creatura, in un soggetto caratterizzato da un altissimo tasso di democrazia interna e una organizzazione marcatamente territoriale, de-centralista direi.

Gli articoli del nostro statuto che concentrano tutti i poteri nella assemblea degli iscritti e che prevedono una direzione del partito composta dai coordinatori territoriali contengono la declinazione pratica di questi due valori irrinunciabili: la democrazia e il decentramento dei poteri.

In fondo ci siamo organizzati come vorremmo fosse organizzato il paese dove viviamo.

Non ha nessuna importanza se non siamo riusciti concretamente ad attivare tutti gli organismi. Abbiamo affermato il valore di tutti gli iscritti. Abbiamo affermato il rifiuto di una casta esperta e padrona a cui ci si deve affidare. Abbiamo affermato il decentramento delle decisioni e anche la responsabilità di ognuno ad essere partecipe, a formarsi, a studiare, a guardarsi attorno.

Abbiamo affermato il principio di legalità. Lo abbiamo inserito in statuto consapevoli che non dovrebbe esserci bisogno in un paese normale di dichiarare la nostra intenzione di non delinquere. Ma viviamo in un paese in gabbia. E questa gabbia ha un aspetto multiforme. A volte ha l’aspetto del diritto trasformato in favore, a volte ha l’aspetto del familismo, a volte ha l’aspetto del voto di scambio, a volte ha l’aspetto del chiudere un occhio, dell’una mano che lava l’altra. A volte ha l’aspetto delle grandi manovre. Della speculazione, dell’abuso del territorio, dell’inquinamento, della corruzione, dei grandi affari. Noi rinunciamo a tutto ciò che non sia interesse comune.

Su questi principi, su questi valori in questi 4 anni abbiamo organizzato incontri, abbiamo scritto, abbiamo cercato di informare e sensibilizzare, a volte smascherando. Spesso lo abbiamo fatto con grande anticipo, in posizioni di avanguardia. (Lettera ai Sindaci su speculazione già dal 2021, Autonomia Differenziata in un mare di silenzio, Legge Elettorale in grande solitudine). Abbiamo denunciato i danni che avrebbe prodotto la Riforma Sanitaria di Pigliaru/Arru/Renzi, e abbiamo continuato a denunciare i danni di Solinas. Abbiamo organizzato incontri autorevolissimi sui temi della agricoltura sostenibile e misurata sulla nostra realtà e abbiamo preso posizione dando voce al delirio cresciuto attorno alla coltivazione della canapa in Sardegna.

Fin da subito abbiamo preso posizione contro la guerra in Ucraina e ci siamo dissociati dall’invio di armi quando il parlamento all’unanimità violava l’art 12 della costituzione. La durata di quel conflitto, gli sviluppi drammatici che aprono a scenari imprevedibili e pericolosi confermano che avevamo ragione.

In tante cose siamo arrivati 2 anni prima di tutti gli altri, poi, lo so, lo ha detto uno di noi: “Sì ma quando c’eravamo noi, non c’era nessuno”. Quindi magari nessuno ci ha visto. Ma questo è il destino e la funzione delle minoranze. E noi lo siamo minoranza, ma non perché non aspiriamo a governare, non perché abbiamo propensione a non partecipare alle competizioni elettorali, non perché pensiamo che non potremmo farlo con dignità, con onestà, con visione. Del resto lo abbiamo dimostrato quando alcuni di noi ne hanno avuto occasione.

Noi siamo minoranza non perché amiamo essere così, bensì perché è la stessa democrazia che sta diventando minoritaria. Siamo noi che non ci rinunciamo ad alcuni valori. Non abbiamo la stoffa dei portatori d’acqua, non ci facciamo cooptare consolidando il sistema, non ci vendiamo per grandi, ma meschini, vantaggi personali con cui il potere ricompensa chi si integra e si allinea.

Consapevolmente siamo sul punto di ogni questione, facciamo proposte sopperendo all’inerzia di chi dovrebbe produrre risposte (Legge Quadro sulla Prevenzione degli Incendi Boschivi, proposta di Riforma della Legge elettorale, proposta Pratobello).

Questo sono stati i Rossomori che oggi si sciolgono. E da lì nascono i Rossomori de Sardigna.

Essi raccolgono tutta quella attualissima elaborazione sintetizzata nel documento congressuale che abbiamo approvato nel 2020, che qui richiamo espressamente perché ritengo debba fare parte integrante della elaborazione di questo nuovo progetto politico. In quel documento che io sottoscrivo ancora, parliamo di diritti, individuali e collettivi, di democrazia, di legalità, di disuguaglianze, di povertà, di precarietà, di disparità di genere e femminicidi, di autodeterminazione e di sussidiarietà, di solidarietà, di ambiente e di territorio.

Certo, il mondo corre velocissimo. Quel documento è stato scritto prima che il mondo scivolasse alle soglie di una nuova guerra mondiale e di un conflitto nucleare, prima che si consumasse il genocidio di Gaza e lo strazio del popolo palestinese. Ci sono nuove sfide epocali, enormi, con le quali cittadini consapevoli di questo mondo complicato e cattivo hanno il dovere fare i conti. Nuove sfide che si aggiungono a quelle vecchie.

Ma io credo che noi dobbiamo ripartire da quella base solida che avevamo elaborato per aggiungere visione e per andare avanti.

In questi 4 anni sono accadute delle cose che ci riguardano da molto vicino: l’irruzione dei comitati sulla scena politica sarda e l’esperienza di Sardigna R-esiste.

I comitati (con le loro contraddizioni interne, i loro limiti, i rischi cui la loro natura li espone) e Sardigna R-esiste per il modo in cui nasce sono due esperienze che, nella loro apparente diversità, hanno in comune una cosa: la preponderanza del civismo sulla politica organizzata dei partiti.

Almeno qui, tra noi, possiamo affermare il ruolo dei Rossomori nella nascita e nella attività dei comitati. Lo abbiamo fatto generosamente, fin da subito senza maglietta, osservando la regola di non pretendere primogeniture e paternità. Abbiamo operato questa scelta generosa perché non abbiamo mai pensato che una battaglia decisiva come questa potesse essere affrontata da un partito (a parte che erano e sono tutti collusi e responsabili) ma dovesse essere una battaglia di popolo. Questa battaglia oggi è nel vivo e il suo esito sarà cruciale per questa terra. Abbiamo profuso l’impegno massimo di informazione, sensibilizzazione, organizzazione, attività e siamo pienamente partecipi di questa straordinaria e rivoluzionaria mobilitazione popolare che sta mettendo il palazzo con le spalle al muro. Io non ho memoria di precedenti simili. Quelle firme stanno facendo correre la presidente Todde che alterna vittimismo, arroganza, mistificazione. Non l’opposizione, incapace e collusa anch’essa, ma quelle 120.000 firme sulla legge Pratobello, stanno assediando il palazzo e dettando l’agenda. È una nuova Sarda Rivoluzione contro la nuova colonizzazione della Sardegna e i suoi collaborazionisti.

E sia ben chiaro, lo voglio precisare qui, trovo ridicolo che qualcuno possa solo ipotizzare che il nostro impegno in quella mobilitazione sia stata una risposta all’azione concertata dalla destra contro il Campo Largo. Questa narrazione è meschina, tesa a delegittimare il movimento popolare, a depotenziarlo e a sminuirne la portata. Ma io credo che questo tentativo, al netto dei goffi tentativi della destra di cavalcare l’onda, per altro subito respinti, la dica lunga proprio perché denota, ancora una volta, lo spregio che hanno verso i cittadini. Tutto ciò che non è palazzo per loro non esiste. Non può agire con consapevolezza. Non ha valenza politica. Loro considerano i cittadini, anche quando sono in numeri così elevati massa di manovra e questo è di una spocchia irricevibile.

Oltre la legge Pratobello ci sono altre proposte in campo finalizzate al contrasto della speculazione energetica: un referendum comparso dal nulla, a seguito di riunioni di esperti a cui, però, è mancata la spinta popolare; una proposta Soru/Pau che sconta la debolezza di aver voluto cercare un dialogo diretto con la Todde, praticamente tra pezzi del palazzo, ignorando la mobilitazione ormai in atto; una proposta del comitato per l’insularità che sconta la medesima debolezza.

Ma ciò che distingue la legge Pratobello, a sostegno della quale abbiamo dato il massimo impegno firmando, raccogliendo, autenticando, è che ha dato la parola alla gente. Il suo enorme vantaggio, e il suo grande pregio, è stato quello di fornire ai sardi uno strumento per esprimere una volontà. L’unico. Sarà approvata, modificata, impugnata, finanziata, cassata, non lo sappiamo ma ha dato la parola alla gente e questo ha fatto la sua forza straordinaria al di là da eventuali limiti tecnici e dai vincoli derivati dalla arroganza inaudita, verso la Sardegna, dei governi Conte e Draghi e di chi li ha sostenuti.

Questa storia a noi ha insegnato qualcosa. Ci ha insegnato a chi dobbiamo parlare. Quali devono essere i nostri interlocutori.

Da che parte dovevamo stare lo sapevamo già, ora sappiamo anche meglio con chi dobbiamo costruire resistenza e pensiero alternativo. Sappiamo meglio di poter contare solo su una forza popolare contro la quale il palazzo si è blindato.

E lo stesso insegnamento ce lo ha dato Sardigna R-esiste. Tutti voi sapete come, su vostro mandato, ho lavorato per 3 anni alla formazione di un soggetto alternativo al centro destra e centro sinistra che, in Sardegna e non solo, noi riteniamo essere un gruppo di potere caratterizzato da interessi trasversali che alternativamente, danno vita a questo gioco di ruolo ormai indigeribile. Il fatto è che la commedia non si recita in un teatro, purtroppo si recita nelle istituzioni dove c.d. e c.s. interpretano una volta la maggioranza e una volta l’opposizione cambiando il copione a seconda del ruolo. Ma la somma di questo gioco è zero.

La storia, è utile ricordarlo, è che, preparandoci all’appuntamento delle regionali, abbiamo cercato di coagulare l’area dell’autodeterminazione con l’area a sinistra del PD. Il primo tradimento lo abbiamo avuto da Sinistra Italiana che, probabilmente agli ordini dei vertici nazionali, quando Fratoianni ha deciso di sedersi a corte, si è rimangiata tutto ciò che aveva affermato sulla necessità di un polo alternativo che in Sardegna desse voce a tanta gente che non si riconosce né nel c.d. né nel c.s.

Ma poi, anche dopo la fuoriuscita di Sinistra Italiana siamo andati avanti e al primo nucleo di Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani, ai quali ci avevano unito posizioni e attività comuni sulla guerra, sulla legge elettorale si erano aggiunti pezzi di quel mondo dell’autodeterminazione e dell’indipendentismo che, sappiamo essere inquieto, sfilacciato, frammentato, ma al quale noi guardiamo. Quando il dialogo si è aperto a IRS e Progres e dopo l’incontro a Sa Rodia di Oristano io ho davvero creduto che si potesse fare. Purtroppo non è andata così. Io non dimenticherò mai i pomeriggi persi a cercare, con i nostri compagni di viaggio, una quadra sul simbolo, mentre i nostri avversari erano in piazza a fare campagna elettorale.

La rottura con la cosiddetta sinistra di classe, sclerotica e invecchiata dentro modelli organizzativi e simbolismi rituali privi di sostanza, si è consumata male. Purtroppo. La disgregazione del Secondo Polo (lo chiamavamo così a sottolineare che l’altro è un polo unico solo fintamente diviso) per me è stato il fallimento di un progetto nel quale avevo creduto, nonostante molti mi mettessero in guardia e mi ricordassero gli insuccessi dei tentativi precedenti. A loro rispondevo di non far pesare sul presente e sul futuro i fallimenti del passato. Ed in un certo senso lo sostengo ancora.

Quella rottura però ha aperto le porte a nuovi soggetti, associazioni, civismo attivo, altri pezzi dell’indipendentismo, Sardegna chiama Sardegna che nel frattempo aveva lasciato il tavolo del Campo largo e c’è stato un momento in cui l’orizzonte sembrava aprirsi e il gruppo vitalizzarsi di nuovi apporti. Tutto ciò fino alla comparsa di Renato Soru.

Non mi è mai stata chiara la dinamica dell’operazione Soru. Oggi Soru è ben diverso dal Presidente che aveva fatto irruzione sulla scena nei primi anni 2000 e aveva governato pur tra tanti chiaro/scuri prima di essere fatto fuori dal suo stesso partito. Soru è un capobastone del PD con relativa corrente soriana, relativi eredi predestinati, con i suoi ruoli istituzionali in conto Partito democratico, con il suo ruolo di dirigente nazionale del partito. Soru è un pezzo del PD che, per ragioni che a me non sono chiare ha consumato una battaglia tutta interna che fino all’ultimo poteva chiudersi con una ricomposizione come con una rottura, temporanea o definitiva lo vedremo.

Notevole però il fare padronale con cui si è staccato da quel groviglio grigio che è il PD per occupare uno spazio come se lì, in quel luogo, non esistesse nessuno. Notevole e triste il modo in cui gli attori che si muovevano in quello spazio hanno abboccato.

Noi no. Siamo stati coerenti. Abbiamo corso il rischio di non riuscire a partecipare alle elezioni regionali e invece incredibilmente ci siamo riusciti. Con Sardigna R-esiste abbiamo dato voce ad un pensiero alternativo. Abbiamo affermato che non è normale quello che succede in Sardegna e che esiste un modo di fare politica diverso. Abbiamo evitato che i responsabili del disastro di questa terra parlassero da soli

Quello che Sardigna R-esiste ha fatto in 2 mesi, con 32 candidati molti dei quali catapultati in collegi dove erano sconosciuti, è straordinario. Eravamo assenti nel piccolo collegio di Ogliastra e nel grande collegio di Sassari dove si raccoglie un terzo del voto sardo, con una candidata presidente che ha fatto la campagna elettorale conciliandola con il lavoro e cioè nei finesettimana. I nostri competitori hanno speso decine di migliaia di euro in campagna elettorale. Anche 50/60 mila euro a testa quelli più motivati. Le nostre spese credo stiano in una media di 150/200 euro a testa. Molti dei nostri competitori hanno clientele consolidate, noi niente. La presidente Todde ha attraversato la Sardegna in lungo e in largo per mesi mentre ricopriva l’incarico di parlamentare, ma così piccolo e inutile è il ruolo di un senatore? Truzzu ha fatto lo stesso mentre era sindaco della città metropolitana, ma così poco e inutile impegno richiedono quei ruoli? Un giorno, durante la campagna elettorale, mentre uscivo dalla RAI dopo un confronto tra candidati presidente, un redattore mi ha stretto forte la mano e mi ah detto: “ Sa cos’è lei? Una persona normale”.

Ecco cosa siamo noi. Persone normali. E persone perbene aggiungo io. Resta la domanda su cosa siano gli altri

Tutto ciò dà una lezione. Rossomori de Sardigna continuerà nel percorso tracciato finora. Farà tesoro dell’esperienza acquisita, avrà come interlocutori non le segreterie ma le persone, non i palazzi ma le piazze. Le istituzioni, come dimostra l’esperienza dei comitati, si sono allontanante anni luce dai cittadini e dalle loro istanze.

Non è un caso che a questo congresso gli ospiti non iscritti non rappresentino partiti, come è d’uso nei rituali della politica, ma siano cittadini, attivisti, esponenti di comitati, uomini e donne che si confrontano ogni giorno con la realtà di questo paese e di questo tempo.

Rossomori de Sardigna esisteranno perché ci sono delle questioni da portare sul tavolo e da porre all’attenzione dei sardi, prima fra tutte questa, che ne contiene in sé molte altre: il nostro essere la colonia interna dell’Italia.

L’assalto dei signori del vento e del sole mostra come non accenni ad attenuarsi l’aggressività colonialista dello stato Italiano verso la Sardegna. Io sono pienamente in linea con chi considera questa la quarta colonizzazione della nostra terra, dopo quella linguistico-culturale, quella dell’industria mineraria e chimica, quella delle servitù militari e infine la quarta quella della speculazione energetica.

La violenza che si sta operando verso di noi è inaudita. Una violenza contro di noi e a spese nostre, perché ne siamo i finanziatori diretti attraverso i fondi del PNNR che saremo chiamati a restituire e attraverso gli oneri di sistema che appesantiscono le nostre bollette. È tollerabile questo?

Il piatto ce lo hanno servito sia i partiti che sostenevano i governi Conte e Draghi, sia quelli che governano oggi che procedono con la medesima aggressività. Le loro articolazioni sarde rispondono senza fiatare alle decisioni romane, anzi quando le partite si fanno serie, si attivano a posizionare emanazioni romane dirette in ruoli gentilmente lasciati liberi da una classe dirigente isolana mediocre, asservita, concentrata sulle briciole che ogni tanto si fanno cadere sotto il tavolo.

Alessandra Todde oggi siede alla presidenza della regione sarda per presidiare e completare ciò che avevano impostato i governi di cui faceva parte. Solinas era una succursale del leghismo padano.

E allora come può mancare in Sardegna una forza sarda. Svincolata dai poteri coloniali che cerchi e trovi gli strumenti per emancipare la Sardegna da questo suo ruolo di colonia interna dell’Italia? Una forza che sappia inquadrare la questione sarda nel quadro ampio di un rapporto squilibrio, anzi di dominio economico e culturale, tra il centro dei padroni e le periferie dei sudditi.

E qui arriviamo alle altre questioni che vanno presidiate, e cioè le riforma del governo Meloni: il premierato e l’autonomia differenziata. Io non so cosa riusciranno a portare a termine, credo tutto. Ritengo il premierato sia un ulteriore passo avanti nella degenerazione delle democrazie che attraversa questo tempo. Lo ritengo un danno grave anche rispetto ai nostri obiettivi di partito anticolonialista che esige il riconoscimento del principio di autodeterminazione. Ogni indebolimento degli organismi assembleari, dove in teoria trovano rappresentanza i territori, e la pluralità di istanze è un danno ulteriore alla nostra causa.

Ritengo altrettanto pericolosa e iniqua l’autonomia differenziata che tende a lasciare le risorse dove vengono prodotte scavando un solco ulteriore tra le diverse aree del paese e distinguendo tra le zone di solo prelievo (come dimostra la questione energia), di sfruttamento, di impoverimento e di conseguente negazione di diritti e, viceversa, zone di sviluppo da agganciare alle aree più forti di questa Europa di diseguali.

Io so bene quale altro punto di vista, sia pure isolato, circa l’autonomia differenziata, sia stato proposto nel mondo dell’autodeterminazione. In via teorica, qualcuno ha individuato questo passaggio come un’occasione per ampliare e ridiscutere la nostra autonomia. Ma io credo che questo sia un errore di prospettiva clamoroso.

L’autonomia differenziata è anzitutto un vero e proprio affondo contro la specialità. Con questo passaggio tutti sono diventati speciali, e come è evidente: “tutti speciali nessuno speciale”.

Segnalo a questo proposito che autorevoli costituzionalisti ricordano che quella riforma dell’articolo 116, nell’ambito della riforma del Titolo V della Costituzione, nel 2001, su cui poggia la legge Calderoli, fu fatta a suo tempo per contrastare l’attacco che era in atto verso le specialità. E questo carattere, in perfetta coerenza, lo ritroviamo nella sua applicazione. Le regioni a statuto ordinario possono con legge approvata dalle camere ampliare la loro autonomia estendendola praticamente a tutte le funzioni, per revisionare il nostro statuto è necessaria una legge costituzionale.

Ora i mi domando chi dovrebbe portare a questo risultato? È verosimile in questo momento? Chi dovrebbe aprire questa nuova grande vertenza? Chi come la Todde pensa che la specialità ce l’abbiano concessa in virtù della nostra povertà? Chi come Forza Italia pensa che le pale si possono mettere dove non disturbano dunque nelle zone interne? La Lega nata dalla narrazione del sud palla al piede del nord?

Io credo viceversa che la legge Calderoli sia irricevibile e che la Sardegna dovrà strutturare su questa e su altre questioni, una sua resistenza dal basso come è successo con i comitati Pratobello e non certo invocandosi alla lesione dell’unità d’Italia. Ma rigettando il modello coloniale e di dominio delle zone ricche che prelevano da quelle povere e non restituiscono.

Una resistenza che dovrebbe ora riguardare altri ambiti di difesa e di rivendicazione di diritti, di rispetto e di riconoscimento.

Noi Rossomori de Sardigna ci collochiamo in questa area di resistenza, che è un’area antagonista, anticolonialista, non collusa, non collaborazionista, non cooptabile, non in vendita.

Al nostro impegno sulla riforma della legge elettorale sarda, che ci ha visto sempre in prima linea, aggiungeremo quello per costringere il palazzo a dotare la Sardegna di una norma che regoli la partecipazione e consultazione popolare. Manca in Sardegna una norma sulle leggi di iniziativa popolare che pure sono previste nello statuto. Essa era contenuta nella legge statutaria del 2008 di Renato Soru poi annullata nel 2009 dalla Corte Costituzionale. Siamo molto curiosi di sapere come il consiglio regionale sardo, tratterà la proposta di legge Pratobello una volta ricevute le 120.000 firme, con quale fantasia rimedieranno a questa grave inadempienza e se finalmente questo lo indurrà a porre termine a quello che di fatto è un vero e proprio esproprio di possibilità di partecipazione del popolo sardo.

Lo statuto di questo nuovo soggetto politico che oggi nasce a Ghilarza, raccoglie quanto di buono era già stabilito nello statuto dei Rossomori riformati nel 2020 e si arricchisce dell’affermazione di nuovi principi.

Abbiamo modificato il Capo I, che contiene scopi e finalità e quindi enuncia i principi che guideranno la nostra azione. Abbiamo aggiunto il rifiuto della guerra, il rifiuto di questo modello economico che chiamiamo neo-liberismo, l’impegno a concorrere al rafforzamento di una coscienza nazionale sarda, il diritto collettivo ad un ambiente salubre, il diritto diffuso ai vantaggi derivanti da uno sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, il principio dell’autoprotezione come diritto e dovere delle comunità.

Al Capo II, quello sulla organizzazione del partito, all’art. 16 abbiamo stabilito che anche un solo iscritto in una delle regioni storiche sia qualificabile come Unità Territoriale di Base, pur mantenendo a 5 il numero di iscritti per avere una rappresentanza nella Direzione.

Abbiamo infine eliminato le figure dei vice Presidente e vice Segretario aumentando però, da 5 a 8 i componenti della Segreteria.

Noi abbiamo tutto il coraggio, le competenze, le consapevolezze, le caratteristiche etiche ed umane per dare gambe ad un partito così.

Lunga vita a Rossomori de Sardigna

Lucia Chessa segretaria nazionale Rossomori de Sardigna

Ghilarza 29.09.2024

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